Il tradimento non trionfa mai: qual è il motivo?
Perché se trionfa, nessuno osa chiamarlo tradimento.
~ † ~
Il retrobottega della taverna "Le Cinque Torri" era umido e lercio, saturo di un odore acre di tabacco.
Il muro destro era occupato da un accumulo di vivande in odore di marciume, forse pronte per essere buttate. Poco più in là, una scansia di truciolato racchiudeva chissà quali segreti. Il pozzo luce, posizionato diagonalmente sulla tettoia che concedeva una microscopica veranda sul vicolo stretto, non lasciava filtrare che pochi raggi pallidi di una luna nascente, corroborati dal chiarore di un lume ad olio appoggiato su un tavolaccio, accanto al libro mastro.
Fermo, in piedi a pochi passi dalla porta, Marvash si strinse nel suo lungo mantello bianco, temendo per le sue povere ossa.
A qualche metro da lui, abbarbicato su dei barili ammonticchiati in un angolo, un topo squittì fissandolo, impietrito come se l'avessero colto nell'atto di rosicchiare le riserve di formaggio.
La porta cigolò, aprendosi, ed un fascio di luce arancione si distese fino ai barili. Il topo, forse pensando che quel luogo iniziava a farsi troppo affollato, si defilò. Il Generale rifletté che gli sarebbe piaciuto fare altrettanto.
La porta si spalancò e sull'uscio fece la sua comparsa lo gnomo gestore della taverna. Non disse nulla, limitandosi ad entrare e a richiudere la porta alle sue spalle. Solo a quel punto si concentrò sul suo ospite, squadrandolo con uno sguardo truce mentre si accarezzava il folto pizzetto.
"Questa mi mancava!" esclamò, affatto felice di trovarsi davanti quella figura.
"Che cazzo ci fai qui, Egon?"
Reprimendo un moto di sorpresa e rabbia all'udire quel nome, il Generale rispose: "Ti pregherei di non utilizzare quel nome, mastro Fan."
"Perché mai?" domandò lo gnomo, fingendosi sorpreso; "Non è forse il nome che tuo padre aveva scelto per te?"
L'altro non rispose, rinchiudendosi in un silenzio ostinato che si esprimeva solo per tramite degli occhi turchini, gelidi e pieni dei più abominevoli orrori - visti e perpetrati.
"Vedo che non vuoi giocare" commentò, deluso. "Quindi torniamo alla mia prima domanda..." proseguì, incrociando le braccia in una posa marziale che, dall'alto dei suoi ottanta centimetri, assumeva dei toni ridicoli.
"Che cazzo ci fai qui?"
"Voglio parlare con lui."
Gli occhi dello gnomo si ridussero a due fessure. Aveva capito a chi si riferiva quel giovane. Aveva già visto quegli occhi turchini -
li aveva sognati - e sapeva che erano portatori di lutto per tutti loro. Se lo sentiva nelle ossa.
"Va' a parlargli, allora. Non sarò certo io a impedirtelo."
"Non adesso... e non qui. Fra tre ore, all'osteria dei tagliagole."
"Mi hai preso per un segretario?" domandò indispettito il vecchio Fandango.
Il Terzo non rispose, limitandosi a scrollare le spalle e a voltarsi, facendo per uscire. Aveva fatto quello che doveva e lo gnomo - volente o nolente - avrebbe riferito il messaggio a chi di dovere; il resto era in mano agli dèi - e al tempo.
Dal canto suo, Fandango volle togliersi almeno la soddisfazione di poter dire "l'avevo detto" in futuro; quindi, con aria fintamente rassegnata, annuì. "E va bene. Ma sta' attento a quello che fai: conosco la storia della tua famiglia. Voi Crowel il tradimento lo avete nel sangue."
Sulla soglia, Marvash sorrise.
"Il tradimento è una questione di date." disse
prima di sparire oltre l'uscio, perdendosi nella notte.
~
L'aria stantia dello Sweeper Bar lo stava soffocando. Seduto su uno sgabello di legno e paglia al più traballante e marcio tavolo dell'intera locanda, Marvash nascose il volto nel mantello, nel vano tentativo di filtrare i vapori che si sollevavano in quel luogo in cui la perdizione del vizio aveva lasciato il posto alla perfezione dell'assassinio. In quel postribolo di menti sanguinarie non si entrava senza un buon motivo o un ragionevole biglietto da visita scritto col sangue di qualcun altro.
Il suo sguardo vagava da un lato all'altro della sala quasi vuota eppure ancora vitale, nonostante l'ora tarda. C'era qualcuno che beveva in silenzio, quattro mezzi ubriachi che giocavano a dadi con coltellacci nascosti sotto al tavolo, i gestori che si sbrigavano a ultimare le pulizie. Lui, invece, aspettava in religioso silenzio, spostando il suo sguardo dai pochi avventori rimasti alla porta d'ingresso, nella speranza di veder entrare la persona che attendeva. Non era propriamente nervoso, non ne aveva motivo: per certi versi, era certo che l'altro sarebbe arrivato. Se non per convenienza, di certo per curiosità. Al posto del nervosismo, dunque, coltivava una sana impazienza. Da quell'incontro sarebbero dipese molte cose, forse anche il futuro di Estel, in qualche modo.
Dall'altro lato della città, qualcuno usciva dalle Cinque Torri.
Fandango, grattandosi il capo, sentenziò il corretto epitaffio per quella notte:
"Quel ragazzino porterà un mare di guai". Aveva ragione
- e non voleva.
Giocata privata, si prega di non intervenire.